Di seguito un estratto da “Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio” che ci racconta del Torneo organizzato dal signore di Bologna nel 1470 , all’indomani della creazione della “lega generale” voluta dal Papa per contrastare il pericolo Turco.
Narreremo il torneamento dato dal Bentivoglio il quarto giorno d’ottobre sacro al patrono della città, era stato scelto e proclamato affinchè cavalieri e spettatori d’altre terre potessero convenire in Bologna.
Cento venti giostratori furono spartiti in due corpi un rosso e un bianco e suddivisi in sei squadre guidate da altrettanti capitani, le armi erano lancia,spada e mazza, il premio un palio d’argento.
I bianchi ebbero a duce Antonio Trotti d’Alessandria condottiere de Bolognesi, i rossi Giovanni Bentivoglio.
Passarono più giorni in giuochi d arme a fine di ben disporsi alla tenzone.
La maggior piazza fu l’arena vi si innalzò ampio steccato con molti gradi quasi a foggia degli antichi circhi e con palchi coverti di arazzi.
Sorto l’aspettato giorno andaron con bell’ordine tutti i combattenti al tempio di Petronio e assistito alla santa messa tornarono al proprio tetto a prender cibo.
A vespro la piazza conteneva innumerabili moltitudine giacchè la fama da parecchie città quivi avea tratto assai gente, e non vulgare chè dame, gentiluomini, baroni, principi v’erano accorsi.
V’andò il senato gli anziani e gli altri bolognesi maestrati.
Dugento fanti mantenervi doveano l’ordine e se qualcuno il turbava quello di capitale punizione era minacciato.
Già le squadre avevan mosso a quella volta, e fra gridi del popolo el concerto di bellici strumenti Antonio Trotti co’ suoi entrava in lizza.
Difeso da lucida armadura, scoperto il capo, vestito di giornea del color di sua parte, cavalcava egli vivace destriero pomposo per il drappo cremisi intesto d’oro.
Lo precedean molti paggi su gagliardi corsieri d’auree gualdrappe un de quali recava il di lui elmo sovra cui era una statuetta d’oro in mezzo a ghirlanda di fiori col motto “nè altro da voi bramo” veniangli dappresso le sei squadre armate di lance con banderuole rosse, e rosso portavano uno stendardo.
Di queste i capitani avevano imprese e motti diversi svariate e a gara ricchissime vestimenta .
Le schiere de rossi ridottesi presso il palagio dopo d’aver girato attorno all’agone entrarono le bianche, in codesta ordinanza.
Alcuni trombetti colle insegne del duca di Ferrara erano avanti a sei palafreni ornati di serica sopravvesta bianca e violacea, con argentee bardature, de quali il duca di Milano avea fatto presente a Giovanni, saputo che una solenne armeggeria egli avea divisato. Altri otto cavalli coperti di velato azzurro e verde di broccato d’oro e di perle, con valetti vestiti di purpurei drappi armati d’aste e di celate, suonatori di marziali strumenti e sedici scudieri ne venivano a piedi.
Indi appariva Giovanni che sovra all’armadura di forbitissimo acciaio, vestiva un sorcotto di candido damasco, in cui vedeansi cimati leoni assisi sovra fiamme lenenti tra gli artigli un bastoncello con due secchi e’l motto “Ich offe” che in alemanno suona “spero” e montava un destriero baio nomato superbo adorno di bianca stoffa cosparsa di leoni.
Un paggio portavagli l’elmetto fregiato di candidissimi veli con argentei ricami e di piume di struzzo, che per cimiero avea un leon d’oro nascente dalle fiamme e I motto “non vuole amore ma forza” .
Quindi alcuni trombettieri e le squadre armate come le altre ed indossando bianche sopravvesti intessute d’oro .
Si fermarono i bianchi dal lato opposto al palagio quand’ebbero percorso in giro la lizza e avvicinandosi l’ora della pugna Giovanni coll ‘elmo si coprì e lo sguardo alzando al cielo mormorò breve una prece, di poi calata la visiera allo squillar delle trombe abbassò l’asta e spronando il cavallo mosse contro un de rossi e rovesciollo, mosser rapidamente colle lance in resta ad incontrarsi le squadre, nè tutti rimaser saldi in arcione al fiero assalto.
Spezzate le aste dieder di piglio ai brandi alle mazze e crudamente incominciarono a martellarsi.
Quale imponente vista allora si offriva, molte migliaia di persone vestite a colori brillanti e com’era usanza di que giorni fregiate di piume di pelli di collane d’altri ornamenti d‘oro, animarsi, atterrirsi, inebriarsi se per l’una parte o per l’altra pendeva la vittoria.
Gli araldi, i paggi, gli scudieri, pomposi lor differenti fogge eccitare col suono delle trombe, ministrar armi, soccorrere i feriti.
I giostranti da capo a pie ricoperti di corruscante acciaio coperti di variopinte sete, d’ argento, d’oro, con cimieri con imprese diverse, tutti adoperando la forza e la destrezza, il soccumbere degli uni, il sorgere degli altri, il rintronare degli elmi, degli scudi, delle armadure fieramente percosse, il clangor delle trombe, le grida degli astanti produr doveano ben altre sensazioni da quelle che ci destano gli snervati nostri spettacoli.
Da buona pezza ardeva la mischia quando fu sonato a ritratta, onde ogni cavaliere si raccogliea presso i duci agli estremi dello steccato.
Breve dimora trascorsa ambo i vessilli, il cui conquisto era vittoria, attortigliati alle picche furono affidati, da Giovanni e dal Trotti, a poderosi guerrieri e al nuovo segno nuova zuffa incominciava .
Ognun de capitani, ciascheduno dei militi, cercava a tutta possa, torre il gonfalone al nemico, ma e questi e quelli affaticavano invano che del pari eran prodi.
Dopo lunga ostinata tenzone il Bentivoglio voltosi a suoi, sclamava “il vostro ardire compagni il valor vostro. ove son essi!! Cederem noi? non avremo l’onore di riportata vittoria?” A questo dire Egano Lambertini con pochi si slancia in mezzo a rossi, impetuoso così che già ne impugna lo stendardo, poscia volge il cavallo, urta, abbatte chi non gli sgombra la via e accanto al proprio innalza il conquistato segno.
Veemente e ratto, è il giungere delle squadre del Trotti, che fan prodezze a riacquistare la insegna e I’avrebber ritolta se, Giovanni sopraggiunto, non fosse a renderne vani gli sforzi.
I crudi colpi di mazza, già avean cacciati supini al suolo cavalli ,e cavalieri, sicchè sembrò ai marescialli di campo si dovesse impor fine alla lotta, a non far della giostra una guerra.
Datone ed eseguito il segno pronunciarono la parte de bianchi essere stata vittoriosa, al Bentivoglio duce di quella doversi il premio.
Gridava il popolo allora “sega sega” acclamazione allusiva allo stemma bentivolesco, e da Galeazzo Marescotti al vincitore era recato il palio e tributata lode.
Poscia sen givan al palagio di Giovanni ordinatamente tutte le squadre, ov’egli fra suoi compagni l’argenteo drappo divideva.
Ed a serbar memoria di tal splendida festa, commise egli appresso a rinomati artisti, che nel di lui palagio ne pingessero l’ordine intero, come poi fece Massimiliano imperatore nel castello di Luxemburgo per altra armeggeria.