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Impresa della Colombina tra Visconti e Sforza

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Impresa della Colombina tra Visconti e Sforza – Eugenio Larosa

Tra le celebri imprese viscontee, riprese poi in ambito sforzesco, troviamo quella della Colombina, o della Tortora, che rappresenta una Colomba posta al centro di un sole radiante, detta radia magna ( raza in volgare ) mentre tiene nel becco un cartiglio con il motto “A BON DROIT”.

Questo emblema araldico fu coniato da Francesco Petrarca per un diciasettenne Gian Galeazzo Visconti, durante il suo soggiorno ospite dei Visconti e dell’Università di Pavia, il poeta avendo modo di conoscere la mitezza del giovane Visconti futuro duca, prospettando per lui un futuro di pace gli dona questo emblema augurale.

Si trova traccia di questo dono in una lettera di Pier Candido Decembrio a Filippo Maria Visconti di cui era segretario personale. (Bologna, Universitaria, 2387, f. 103).

Franciscus Petrarcha vir scientia et eloquentia et, quod his longe precipuum est, moribus ac virtute prefulgens, nonne in aula tue celsitudinis inductus magnanimi principis avi tui Galeaz preconiis et consilio notior factus est omnibus? … Franciscus… cum senior effectus esset, preclarissimo iam tum adolescenti genitori tuo insignia illa siderea, quibus et ipse ac tu iampridem felicissime in preliis usi estis, diligenti studio et solertia commentus est…turturem cum brevi notula “A bon droit” radiantis solis in medio composuit.

Francesco Petrarca essendo già avanzato negli anni, con diligente studio e solerzia, per il tuo preclarissimo genitore, allor giovinetto, quelle sideree insegne, delle quali ed egli e tu stesso foste soliti felicemente servirvi in campo, escogitò e produsse: ei vi collocò la tortora col breve mòtto: à bon droit in mezzo al raggiante.

Ritroviamo poi tra le poesie di Francesco Vannozzo il componimento denominato “Canzone morale fatta per la divisa del Conte di Virtù” (verso 296 e successivi) in cui viene riproposta la divisa della colombina associata alla persona del duca.

Canzon maestra, il tuo breve camino
del mio signor prego che prenda
a veruno dicendo sue se’ stata:
dì’ pur ch’ io t’ ò mandata
Secretamente si ch’uom non t’intenda;
ma lui comprenda il sole e l’azur fino
che tengon in sua brancha
quella icelletta biancha
Qual A BON DROYT en dolce becco tene;
Che la sentenza mia tutta contene.

Per completare il quadro di riferimenti storici facciamo nota l’esistenza di un componimento a carattere araldico-encomiastico dedicato a Gian Galeazzo Visconti e composto dal noto poeta forlivese e panegirista visconteo del sec. XIV, maestro Iacopo Allegretti.
Il componimento denominato “Carmina divise illustrissimi Virtutum comitis incliti Galeaz, solicet de Turture” associa la figura del Duca all’impresa della Tortora.

La stessa impresa doveva essere presente nel finestrone centrale dell’abside del Duomo di Milano, grande progetto di legittimazione del potere temporale visconteo a fianco di quello spirituale, ma le indecisioni del Signore di Milano ne ritardano. La costruzione, del grande rosone avverrà solo dopo la morte, portando la Fabbrica a scegliere solo la Radia senza colombina ed altre imprese (Documenti sul Duomo e Gian Galeazzo Visconti tra ingegneri della cattedrale e artisti di corte – Francesca Tasso)

Rosone Duomo di MilanoRitroviamo l’impresa e il suo motto nel mazzo di tarocchi realizzato da Bonifacio Bembo per il Duca Filippo Maria Visconti e successivamente anche per Francesco Sforza.
Nel mazzo oggi diviso tra le collezioni dell’Accademia di Bergamo , la Pierpont Morgan Libray di New York e una collezione privata, troviamo l’impresa della colombina sulla gualdrappa del Cavaliere di Coppe (una dama) mentre su diverse carte con il seme dei Bastoni e delle Spade appare un cartiglio con il motto A BON DROYT.

Con la morte senza eredi legittimi di Filippo Maria Visconti il 13 agosto 1447 finisce la dinastia a cui seguono tre anni travagliati per Milano e il suo Ducato fino all’entrata a Milano del nuovo eletto Duca Francesco Sforza.
Francesco Sforza sposo dell’unica erede dei Visconti (Bianca Maria), cerca di legittimare la sua successione dando un segno di continuità con la dinastia precedente decide per questo di adottare le insegne araldiche dei Visconti, in primis le due vipere con le due aquile, ma aggiunge ad esse anche tutte le imprese minori tra cui quella della Colombina.

Diverse sono le decorazioni presenti nel Castello Sforzesco che ricordano questa impresa, così come nella Certosa di Pavia.
Impresa amata particolarmente dal Duca Galeazzo Maria Sforza e dalla sua sposa Bona di Savoia, tanto da dedicargli la sala delle Colombine che deve il suo nome alla decorazione della volta dipinta con l’impresa della colombina nel radiante su un fondo rosso e il motto ”à bon droit”.

A ribadire l’importanza dell’impresa, questa viene riprodotta dal Duca Galeazzo Maria Sforza su una moneta, il grosso d’argento da cinque soldi, denominato per questo colombina.

Lo stesso Duca in occasione della visita a Lorenzo de’ Medici del 1471 come era l’uso del tempo contrae diversi debiti per commissionare una serie di gioielli con simboli araldici.

Interessante è il resoconto dell’ambasciatore mantovano presso la corte Sforzesca che incontrando Mastro Donato gioiellere di corte ha modo di visionare e descrivere i “colari che fa fare l’excellentia del signore” tra cui troviamo “Il quarto fato a raggi e colombine” .

Non ci è dato sapere se sia la stessa collana con le colombine e lo zaffiro pendente che sarà donata al re di Dacia, cioè di Danimarca, in occasione della sua venuta nel marzo del 1474 . (ASMi, Sforzesco, 1612)

Lo stesso Duca richiederà un nuovo abito le cui maniche siano impreziosite con migliaia di perle e ricamate con le imprese dei raggi e delle colombine a cui applicare rubini al posto degli occhi. (ASMI. Sforzesco 1483)

Ludovico Sforza, noto come il Moro, successore di Galeazzo Maria e fratello di quest’ultimo, continuò a utilizzare gli emblemi della casata dei Visconti. In questo caso, possiamo ipotizzare che lo facesse per legittimare ulteriormente la sua ascesa al titolo di Duca, avvenuta dopo la sospetta morte per avvelenamento del legittimo erede al ducato, suo nipote Gian Galeazzo, di cui il Moro stesso si era attribuito il ruolo di tutore.

Nel celebre ritratto realizzato da Giovanni Antonio Boltraffio, Ludovico indossa una veste splendidamente ricamata con le imprese  sforzesche. Tra le numerose imprese presenti, come la scopetta, il morso e la radia magna, troviamo anche la colombina. Questo ritratto è conservato nella Collezione del principe Trivulzio a Milano.

 

Rimanendo su riferimenti tessili ritroviamo un ordine del Moro datato 1490 in cui vengono commissionate 13 braccia di “panno d’oro soprarizo con le raze et le colombe”.

Con la discesa del Re di Francia in Italia, si verifica l’allontanamento di Ludovico Sforza da Milano, segnando così la fine della dinastia degli Sforza e la scomparsa di gran parte delle imprese viscontee.

Tuttavia, la colombina avrà un timido ritorno nella scena milanese come tentativo di legittimazione della successione di Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico. Massimiliano ripropone l’immagine della colombina insieme a un cartiglio su una moneta, proprio come aveva fatto in precedenza suo zio Galeazzo Maria. Questo gesto simbolico mira a richiamare l’eredità e l’autorità della famiglia Sforza nella successione milanese.

Grosso Galeazzo Maria Sforza
Grosso Galeazzo Maria Sforza

 

 

Articolo Pubblicato su  http://www.famaleonis.com/motto-colombina.asp

 

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