Tempo di lettura: 7 minutiIl Setaiolo nel Quattrocento: un mercante-imprenditore – Articolo Eugenio Larosa Questo articolo si propone di offrire una prima esplorazione della figura e del mestiere del setaiolo nel contesto del XV secolo italiano. Attraverso l’analisi delle fonti documentarie, l’articolo mira a gettare luce su questo personaggio affascinante e poco conosciuto, offrendo uno spunto prezioso per coloro che desiderano approfondire l’argomento. Rivolto sia agli appassionati di storia che ai ricostruttori storici, l’articolo fornisce stimoli per esplorare ulteriormente la vita e le attività di questi mercanti-imprenditori, contribuendo così a una visione più completa e dettagliata del panorama commerciale e artigianale del Quattrocento italiano. L’industria della seta nella penisola italiana ebbe un notevole sviluppo a partire dal XII secolo, con Lucca che svolse un ruolo di pioniere in questa crescita. Inizialmente, Lucca fu un importante centro per la produzione serica, ma successivamente questa industria si diffuse in altre città, principalmente grazie all’emigrazione di artigiani lucchesi. Venezia, Genova, Bologna, e Firenze furono tra le città che videro una significativa espansione dell’industria serica grazie all’arrivo di artigiani provenienti da Lucca. Questa migrazione di maestri e artigiani contribuì alla diffusione delle competenze e delle conoscenze necessarie per la lavorazione della seta in diverse regioni italiane. L’Arte della Seta in Italia come per molte altre attività era regolamentata all’interno della propria corporazione da ben precisi statuti. Sebbene appartenenti a differenti città, questi statuti erano sorprendentemente simili, poiché gran parte degli operatori del settore proveniva dai principali mercati di Venezia, Genova, Lucca, Firenze e Bologna. Ad esempio a Venezia fino ad inizio quattrocento i più grandi setaioli erano rappresentati quasi esclusivamente mercanti-imprenditori lucchesi che emigrarono nella città lagunare nel Trecento. Questi imprenditori mantennero stretti legami con la loro città d’origine, Lucca, e formarono una comunità molto coesa. La comunità lucchese assunse un ruolo di assoluta preminenza nella produzione serica veneziana tra la metà del XIV secolo e i primi decenni del Quattrocento. Anche Milano, sotto il dominio sforzesco, rivitalizzò la produzione di tessuti serici precedentemente dai Visconti, prendendo ispirazione per i suoi statuti corporativi da quelli di Firenze e Venezia. Altre importanti piazze di produzione furono Napoli e città minori come Mantova, Ferrara, Reggio Emilia, Modena, Perugia, Siena, Messina e Catanzaro. L’industria serica in Italia per tutto il Quattrocento si differenziava notevolmente dalle moderne fabbriche, poiché adottava il sistema del lavoro a domicilio. La figura centrale in questo contesto era il setaiolo, un mercante-imprenditore che finanziava e sovrintendeva l’intero processo produttivo. Era responsabile dell’acquisto della materia prima, della vendita del prodotto finito e del controllo su ogni fase intermedia della lavorazione. Il setaiolo distribuiva i materiali da lavorare ad artigiani e piccoli maestri, i quali operavano nelle proprie case o in laboratori di dimensioni ridotte. Questa pratica consentiva una maggiore flessibilità e adattabilità al contesto dell’epoca, in cui la produzione tessile era un’attività diffusa e spesso gestita da piccoli artigiani. Tali materiali venivano restituiti alla bottega del setaiolo dopo ogni singola fase di lavorazione. Al fine di garantire la qualità del lavoro svolto e prevenire eventuali sottrazioni o furti minori, tutti i materiali erano sottoposti a ispezioni e pesature sia al momento della consegna che al momento del rientro. In alcuni casi, lo scambio di informazioni era consentito per facilitare il commercio tra “stati” spesso dalle stesse comunità di mercanti. Ma spesso questo scambio di informazioni avveniva a seguito di casi di emigrazione di artigiani da una città all’altra, come abbiamo visto nel caso di Venezia. Mercati come Milano e Napoli videro la loro nascita grazie all’emigrazione di artigiani e maestri provenienti dalla Toscana. Le emigrazioni di maestri e artigiani, favoriti da politiche di esenzioni e incoraggiati dai signori dell’epoca, erano il risultato di una strategia volta a sfruttare il prosperare del mercato tessile per arricchire le casse dei governanti dell’epoca. I governanti, consapevoli dell’evoluzione positiva del mercato tessile, intrapresero politiche mirate a incentivare l’immigrazione di maestri e artigiani. Queste politiche includevano esenzioni fiscali e altre agevolazioni che rendevano più attraente per gli artigiani spostarsi in determinate regioni o città. Gli imprenditori locali, interessati a entrare nel mercato tessile, finanziavano queste nuove attività vedendo nei maestri e negli artigiani emigrati una risorsa preziosa per sviluppare e potenziare i loro commerci. Tuttavia, questa pratica era spesso punita dalle norme degli statuti, come evidenziato nel caso di Bologna nel 1474. In quel periodo, un artigiano di Firenze di nome Cosimo Dini tornò nella sua città natale dopo aver lavorato a lungo nell’Arte della Seta bolognese. La sua azione fu considerata un atto fraudolento non tanto per il suo ritorno a Firenze, ma per aver portato con sé altri artigiani: tre tessitrici di veli, due filatori e un increspatore di veli. L’intenzione di Cosimo Dini era quella di esportare l’intero processo di produzione dei veli di seta nella città toscana. Il velo di seta, con la sua straordinaria leggerezza, rappresentava un prodotto altamente richiesto nel panorama dell’arte tessile italiana. Il setaiolo non faceva un grande investimento in attrezzature, ma aveva bisogno di un capitale significativo per acquistare le materie prime e pagare i salari dei lavoranti. Solo dopo diversi mesi, recuperava il suo investimento attraverso la vendita dei prodotti finiti. Questo processo finanziario sottolinea la natura a lungo termine degli investimenti nel settore serico del Quattrocento, in cui la gestione oculata delle risorse e il controllo accurato del processo produttivo erano essenziali per il successo economico del setaiolo. La principale preoccupazione del setaiolo, spesso associato con parenti o altri mercanti, risiedeva nel mantenere elevati standard qualitativi, e ciò richiedeva una vigilanza costante. Era imperativo evitare qualsiasi forma di sottrazione di materiali o l’uso non appropriato di materie costose causato da negligenza o trascuratezza. Questa attenzione ai dettagli non solo contribuiva a mantenere la reputazione del setaiolo, ma era anche essenziale per garantire un rendimento economico positivo, dato che eventuali perdite o sprechi avrebbero potuto incidere pesantemente sui profitti. Per quanto riguarda le vendite, è importante evidenziare che, nonostante una parte dei prodotti potesse essere venduta direttamente nella bottega del setaiolo, la dipendenza dalle esportazioni era predominante. La seta, per la sua preziosità, era un prodotto destinato principalmente a una clientela di élite, e la sua commercializzazione richiedeva una rete di relazioni internazionali. Le destinazioni principali dei prodotti serici erano le capitali degli stati nazionali e i grandi centri mercantili del Mediterraneo e dell’Europa. Queste aree rappresentavano poli economici cruciali in cui i drappi di seta venivano scambiati e commercializzati. Spesso, per gestire queste esportazioni, il setaiolo si appoggiava ad agenti commissionari, che prendevano una percentuale sulle vendite e ricevevano un rimborso per le spese di viaggio. In altri casi, gli agenti potevano trattenere tutto il guadagno oltre al prezzo iniziale delle merci. Gli agenti, spesso mercanti-banchieri connazionali o addirittura soci dei setaioli, possedevano filiali o corrispondenti nei principali centri economici europei e partecipavano alle grandi fiere commerciali. Questi uomini d’affari non solo erano intermediari nella vendita di seta, ma avevano anche accesso alle corti europee, dove soddisfacevano la domanda di prestiti e di merci preziose, tra cui la seta. Tuttavia, questo tipo di commercio introduceva una serie di rischi economici, non erano rari i casi in cui ci si affidava ad agenti poco scrupolosi o nei ritardi nei pagamenti da parte dei clienti. Le difficoltà commerciali non erano rare, e i costi dei tessuti potevano influire sulle piazze di vendita disponibili. In particolare, i tessuti più costosi potevano incontrare ostacoli commerciali a causa delle restrizioni imposte dalle leggi suntuarie, che limitavano il tipo di tessuti e abbigliamento che potevano essere indossati da diverse classi sociali. Le stesse condizioni politiche minarono più di una volta la stabilità del mercato, in un periodo ricco di dispute territoriali che sfociavano spesso in scontri militari, il mercato serico risentiva della chiusura delle piazze e delle vie di commercio. Non sono pochi i casi in cui queste condizioni portarono al fallimento intere famiglie di setaioli ed artigiani ad essi legati. Lo stesso Piero di Bartolo tessitore toscano che entrato in società con ricchi mercanti milanesi diede grande impulso alla rinascita della produzione serica meneghina nella metà del secolo, annoverato anche in alcune missive di Francesco Sforza per il suo impegno, fu colpito dalla crisi conseguente alla guerra con Venezia e sommerso dai debiti dovette scappare dalla città abbandonando soci e moglie. Ma anche le mode contribuirono al successo o al fallimento del commercio. I regnanti e i potenti signori del periodo dettavano la moda. La corte e la ricca borghesia seguivano questi dettami, in alcune aree erano apprezzati i drappi di seta italiani mentre in altre si preferivano quelli spagnoli, in altre era preferito il velluto allo zendado e così via. Gli stessi eventi all’interno di una corte potevano influenzare l’andamento delle vendite che aumentavano in previsioni dei festeggiamenti dovute alle nozze o alla visita di personaggi importanti, diminuendo in seguito a periodi di lutto. La testimonianza di questa diffusione si riflette ancora oggi attraverso la presenza di pezzi di tessuti di seta di origine italiana in numerosi musei ed edifici religiosi in tutto il mondo. In molti casi, si tratta di frammenti che narrano la storia di antichi manufatti serici, mentre in altre occasioni si possono ammirare vesti di varie fogge con diversi livelli di conservazione. Bibliografia G. Gargiolli, L’arte della seta in Firenze: trattato del secolo XV , Firenze, 1868. U. Dorini, L’arte della seta in Toscana, Firenze, 1928. G. Gargiolli, Il libro segreto di Gregorio Dati, Bologna, 1869. B. Dini, L’industria tessile italiana nel tardo Medioevo, in Le italie del tardo Medioevo, Pisa, 1990. P.Massa, L’Arte genovese della seta nella normativa del XV e del XVI secolo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, Genova, 1970. L.Molà, La comunità dei lucchesi a Venezia. 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