Lo Speziale nel Quattrocento – articolo di Eugenio Larosa
Lo Speziale nel Quattrocento
In un’epoca in cui la medicina e il benessere erano strettamente legati all’uso di rimedi naturali, lo speziale ricopriva un ruolo cruciale non solo come commerciante, ma anche come custode di saperi antichi e pratiche tradizionali.
LA FORMAZIONE
Nel Quattrocento italiano, lo speziale occupava un ruolo di grande importanza, situandosi a metà strada tra le professioni intellettuali più prestigiose, come quella del notaio o del medico, e i mestieri legati al commercio e all’artigianato. Anche se per diventare speziale non era necessario frequentare un’università, ma solo trascorrere alcuni anni di apprendistato in bottega, questa professione richiedeva una vasta e approfondita conoscenza. Chi sceglieva di diventare speziale, infatti, doveva padroneggiare un ricco bagaglio di competenze specializzate, che lo rendevano una figura chiave nella società dell’epoca.
La formazione dello speziale, come accadeva per molte altre Arti nel Quattrocento, era un processo lungo e impegnativo. Il percorso cominciava con un tirocinio presso un maestro speziale, riconosciuto ufficialmente dalla corporazione, e poteva durare fino a 25 anni. Durante questo periodo, l’apprendista acquisiva esperienza pratica lavorando nella bottega, imparando direttamente sul campo. Ma non si trattava solo di pratica: lo speziale in formazione studiava anche testi di farmacologia medievale e, ancora più spesso, ricettari di medicina popolare.
Ad esempio, il “Nuovo Ricettario Fiorentino” del 1499, che rappresenta un riassunto di oltre un secolo di conoscenze nell’arte dello speziale, così chiamato per il suo carattere innovativo, consiglia come testi di riferimento “uno semplicista chome è Symon Genovese, le Pandette, Avicenna et li semplici suoi, et chosì l’Almansore, el quarto del Servitore, lo anthidotario di Mesue et l’anthidotario di Nicholao, a fine che possa eleggiere, cogliere, preparare, conservare et conporre con diligentia tutte le ricepte”.
In uno dei più famosi trattati farmaceutici dell’epoca, opera del medico Saladino d’Ascoli viene descritta l’immagine dello speziale poi ripresa ad esempio in diversi regolamenti della corporazione:
“non deve essere fanciullo né troppo giovane, né superbo, pomposo, o dedito alle donne e alla vanità; si astenga dal gioco e dal vino, sia sobrio e non indulga alle carapule e disdegni i banchetti: ma sia premuroso, sollecito, di animo mite e onesto, timoroso di Dio e della propria coscienza. Sia retto e giusto, coscienzioso soprattutto verso i poveri. Sia anche ben istruito ed esperto nell’arte sua, non rozzo novellino, perché deve avere tra le mani la vita umana che è il bene più prezioso.”
Come possiamo osservare, non vi è alcun riferimento a particolari studi accademici. Da ciò possiamo dedurre la distinzione tra la figura dello speziale e quella più prestigiosa del medico, che richiedeva una preparazione accademica. Non è raro trovare entrambe le figure all’interno dello stesso contesto familiare. Ad esempio, Luca Landucci, famoso speziale fiorentino di cui ci è pervenuto il famoso “Diario”, aveva tra i suoi figli Antonio, il quale aveva studiato come medico presso l’Università di Bologna.
LA BOTTEGA
Non bisogna comunque pensare che l’attività dello speziale fosse limitata al commercio di spezie ad uso medico.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, gran parte dell’attività quotidiana di uno speziale nel Quattrocento era legata al commercio di una vasta gamma di prodotti destinati a vari usi. Difatti la bottega dello speziale, era un vero e proprio emporio, un punto di riferimento per la comunità, dove si potevano trovare articoli indispensabili per la vita quotidiana e le attività artigianali.
Nella sua bottega, lo speziale non vendeva solo rimedi medicamentosi, ma poteva offrire anche una vasta scelta di spezie ed erbe aromatiche per la cucina, profumi e cosmetici per la cura del corpo, e frutta secca e dolcificanti come miele e zucchero. Inoltre, poteva vendere materiali e prodotti essenziali per altri mestieri, come tinture per tessuti e dipinti, cera per l’illuminazione, sapone, pece, colla, carta e persino sostanze utilizzate per la concia delle pelli.
Come spesso accadeva, le Corporazioni favorivano la continuità familiare all’interno della professione, promuovendo vantaggi economici per i figli maschi e i parenti di sesso maschile dei maestri iscritti all’Arte. Questo suggerisce una presenza prevalentemente maschile nell’ambito corporativo. Tuttavia, da alcuni documenti emergono informazioni secondo cui, come accadeva in altre arti, la partecipazione femminile era limitata alle mogli o alle sorelle che gestivano la bottega quando lo speziale era fuori città.
Il catasto del 1480 di Firenze e il libro delle senserie forniscono una descrizione dettagliata delle spezierie fiorentine nella seconda metà del XV secolo, un quadro che possiamo applicare ad altre realtà del territorio italiano.
Le insegne costituivano un distintivo particolare per ciascuna bottega tanto più che spesso si ritrovano indicati nei documenti notarili con il nome dell’insegna e la posizione in città.
Le botteghe erano contraddistinte dall’esposizione della merce all’esterno, una pratica diffusa che talvolta generava conflitti con le attività circostanti. Per questo in alcune città era vietato posizionare all’esterno della soglia panche, tavoli o altri oggetti che potessero ostacolare la visibilità delle botteghe adiacenti.
Nella bottega poteva operare un singolo speziale oppure un gruppo di speziali. Questi potevano assistere nella gestione dell’attività e, come accadeva in alcuni casi, contribuire ad una conduzione associata in cui ogni speziale investiva denaro per il finanziamento della bottega.
Le botteghe spesso disponevano di un retro dove si conservavano le merci e si preparavano alcuni rimedi. Questo richiedeva particolare attenzione alle condizioni ambientali, comprese la circolazione dell’aria, l’illuminazione e l’umidità, nonché un generale riguardo all’igiene. Il “Ricettario fiorentino del 1499” prescriveva che ogni speziale dovesse selezionare un luogo per la sua bottega che fosse idoneo a preservare tutte le sostanze, avendo proprietà come la protezione dal vento, dalla polvere, dal sole, dall’umidità e dal fumo.
“un sito et luogo per sua botegha apto a preservare tutte le chose semplice et composite, il quale sito habbia queste proprietà, o le più, cioè che sia rimosso da vento, da polvere, da sole, da humidità et fumo”.
Tra gli strumenti più utilizzati nelle spezierie, spiccavano naturalmente quelli dedicati alla pesatura. Erano presenti diverse tipologie di bilance, tra cui piccole, mezzane e stadere. Queste bilance avevano varie applicazioni, dall’utilizzo per preparare i medicamenti composti (i composita) alla vendita al pubblico e, non da ultimo, al controllo del peso delle monete.
Oltre a questi strumenti nel retrobottega potevano essere presenti macine e mortai di diverse dimensioni nonché distillatori per la preparazione dei composti.
Naturalmente, la bottega era ricca di contenitori in cui venivano conservati i vari prodotti e preparati. Oltre alle onnipresenti ceramiche di diverse forme e dimensioni, con o senza smalto interno e sempre ben sigillate, si potevano trovare sacchetti di cuoio e casse di legno di varie dimensioni. I contenitori metallici, principalmente in lega di stagno (peltro) o rame (bronzo e ottone), erano utilizzati per conservare le “medicine molli” o gli “unguenti“.
LE MERCI
Sul fronte delle preparazioni medicinali, in tutte le spezierie erano disponibili una varietà di prodotti, tra cui sciroppi, unguenti, cerotti, pillole, oli, acque o distillati.
Gli sciroppi, noti anche come giulebbi, venivano principalmente preparati utilizzando succhi vegetali concentrati e li si mescolava in uguale proporzione con zucchero (1:1). Questa miscela veniva poi cotta fino a ottenere la consistenza desiderata.
Gli unguenti e gli empiastri erano composti da materie grasse mescolate con cera per conferire loro una consistenza cremosa e agevolarne l’applicazione. Questa consistenza era molto simile a quella delle attuali creme cosmetiche.
I cerotti erano preparati combinando miscele grasse con l’aggiunta di resine e saponi a base di metalli pesanti. Questi cerotti venivano quindi applicati su garze di tessuto.
Le pillole, conosciute anche come trocisci, venivano preparate utilizzando droghe secche che venivano impastate con succhi vegetali, acque distillate, acqua comune o lattovari.
Gli oli venivano ottenuti tramite spremitura (expressione) di frutta o altre piante, oppure attraverso il processo di infusione.
Le acque e i distillati venivano realizzati attraverso l’infusione delle erbe e delle spezie con acqua, vino, aceto o acquavite per le acque, mentre per i distillati si utilizzava il processo di distillazione.
Come accennato in precedenza, le spezierie fornivano anche materie prime utilizzate per la creazione di colori. Queste materie prime includevano pietre, polveri o pigmenti ridotti in panetti, che venivano acquistati dagli artisti per la realizzazione dei loro colori. Un esempio noto di un artista iscritto all’Arte dei medici e speziali è Masaccio, il cui nome al secolo era Tommaso di Ser Giovanni Cassai.
I CIARLATANI
Come abbiamo visto, l’attività degli speziali poteva essere estremamente remunerativa, questo portò alla comparsa di figure note come ciarlatani, che praticavano in modo improprio e spesso a basso costo il mestiere dello speziale. Tuttavia, quando scoperti, questi individui affrontavano severe punizioni. Ciò non solo perché danneggiavano economicamente gli iscritti all’Arte degli Speziali, ma anche perché le loro pratiche rischiavano di compromettere la salute delle persone (“molte volte molte persone che ne muoiono“). Gli speziali che non denunciavano la presenza dei ciarlatani o che commerciavano con loro erano soggetti a sanzioni pecuniarie.
Si dice che lo stesso Machiavelli sarebbe morto per abuso di pillole a base di aloe e cardamomo prescritte da un medico ciarlatano.
UNA RICETTA “SANTA”
Chiudiamo il nostro viaggio nell’arte degli speziali con una ricetta curiosa che ha una connessione con una figura santa.
Mentre Bernardino da Siena prestava soccorso presso l’ospedale di Santa Maria a Siena, si narra che all’interno della spezieria di quell’ospedale abbia concepito ciò che sarebbe stato considerato il vero rimedio contro la peste.
“Piglia la quarta parte d’un comunale bicchiere d’acqua vite e altre tanto di buono aceto et goscio di noce; mescola ogni cosa insieme et dà al patiente immediate che si sente ferire dalla peste et colchisi nel letto ben coperto et sudi, et quando non basti l’acqua vite et aceto a di stemperare bene aggiungervi un poco di vino buono che vedrai mirabile effetto.”
Un legame unico tra la pratica degli speziali, la storia e la fede, dimostrando come quest’arte fosse più di una mera preparazione di medicamenti: era una connessione profonda con la vita e la salute delle comunità dell’epoca.
Lo Speziale nel Quattrocento – articolo di Eugenio Larosa
Nota dell’autore
Questa dispensa è stata realizzata con l’obiettivo di offrire una panoramica generale sulla figura dello speziale nel Quattrocento italiano, un professionista fondamentale nella vita quotidiana dell’epoca.
Data la vastità dell’argomento, ho scelto di adottare un approccio informativo, cercando di individuare i punti di contatto più significativi tra le diverse fonti documentarie utilizzate. Attraverso un viaggio nel suo mondo, esploreremo le molteplici sfaccettature di questa professione, dalla formazione lunga e articolata alle diverse competenze richieste, fino ai numerosi prodotti e servizi offerti alla comunità.
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Statuto Inedito Dell’arte Degli Speziali Di Pisa Nel Secolo XV, Arnaldo Forni Editore, 1969
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