“Erano i capei d’oro a l’aura sparsi…” L’ideale del Biondo nel Quattrocento Italiano
Nell’Italia del Quattrocento, la bellezza femminile si manifesta in forme che oggi potremmo definire quasi archetipiche, tra le quali spicca l’iconografia del biondo. Il colore dei capelli assume un significato profondo, non solo legato all’estetica, ma anche alla cultura e all’immaginario collettivo delle corti rinascimentali. Nei palazzi signorili e nelle corti più prestigiose, il biondo si impone come ideale di bellezza, un segno di purezza, grazia e nobiltà. La luce solare che rifletteva sulle chiome dorate non era casuale: essa evocava una simbologia spirituale e morale, associata alla virtù e all’innocenza.
Questo culto del biondo si riflette nelle opere letterarie e artistiche del tempo. La lirica di Francesco Petrarca, in cui la sua amata Laura viene descritta con i capelli “d’oro a l’aura sparsi”, diventa uno degli archetipi più influenti per la rappresentazione della bellezza femminile. Non si trattava solo di un’osservazione estetica, ma di un vero e proprio ideale che trascendeva la realtà quotidiana per assumere connotazioni quasi mitologiche.
Immagine Femminile tra Gotico e Rinascimento
Con il passaggio dal Gotico Internazionale al Rinascimento, l’immagine della donna subisce una trasformazione significativa. Non più un essere angelicato e remoto, ma una figura più terrena, viva e palpitante, con un’enfasi sulla sua “verità” fisica e morale. L’eleganza delle vesti, l’elaborazione delle acconciature, e la cura minuziosa per l’aspetto esteriore diventano strumenti per esprimere la propria identità, e in particolare, la chioma bionda diventa un tratto distintivo. La bellezza esteriore, infatti, era ritenuta una diretta espressione della nobiltà interiore, della gentilezza d’animo e della virtù morale.
Iconografia del Biondo nell’Arte Rinascimentale
Uno degli esempi più celebri di questa iconografia si trova nei dipinti di Sandro Botticelli. Opere come come La Nascita di Venere e La Primavera, non solo esaltano la bellezza femminile, ma sono costruite su un immaginario classico che richiama antichi modelli scultorei. Botticelli, infatti, riprende dalle statue greche e romane l’ideale del pudore femminile, rappresentato dalla Venere che copre la sua nudità con i lunghi capelli dorati. In queste opere, il biondo diventa quasi una manifestazione di luce divina, arricchita dall’applicazione di oro vero nelle chiome delle protagoniste.
Canoni di Bellezza Femminile nel Rinascimento
Un altro esempio significativo ci viene offerto dal monaco Agnolo Fiorenzuola nel suo trattato Sopra la bellezza della donna. Fiorenzuola descrive in modo dettagliato i canoni della bellezza rinascimentale, e, tra questi, il biondo occupa una posizione preminente. Egli ci parla di capelli lunghi, folti, e di un biondo caldo che sfiora il bruno. Ma non solo: pelle chiara, occhi scuri e grandi, e labbra piccole e carnose definiscono l’estetica ideale del tempo, che riflette, ancora una volta, un modello di bellezza non solo estetico, ma morale.
I “Secreti” del Biondo nelle Corti Italiane
Ma come si otteneva, concretamente, questa bellezza ideale? La ricerca del biondo perfetto non era priva di sforzi. Sappiamo da numerosi documenti storici che le donne delle corti italiane ricorrevano a metodi cosmetici elaborati e, talvolta, anche piuttosto estremi. Un esempio significativo ci viene dai carteggi tra Barbara di Brandeburgo, marchesa di Mantova, e la duchessa Bianca Maria Sforza. In una lettera datata 1456, la marchesa inviava alla duchessa delle boccette di “acqua di Fiorenza”, un preparato famoso per la sua capacità di schiarire i capelli. Questo tipo di scambio testimonia quanto fosse diffusa, e perfino istituzionalizzata, la pratica di migliorare l’aspetto attraverso alchimie cosmetiche nelle corti italiane.
Il Biondo Veneziano: Una Pratica Luminosa
In particolar modo, a Venezia si sviluppa una tradizione unica per ottenere il biondo ideale. Le nobildonne veneziane passavano ore sulle altane, le terrazze situate in cima ai palazzi, esponendo i capelli al sole. Questo processo era supportato dall’uso di lozioni speciali, che mantenevano le ciocche umide e favorivano una schiaritura graduale. Per proteggere il viso dall’esposizione solare e preservarne il candore, le dame utilizzavano un particolare cappello di paglia chiamato solana, che copriva il viso lasciando i capelli esposti ai raggi del sole. Durante i mesi invernali, quando la luce solare era più scarsa, si ricorreva all’uso di zolfo per “affumicare” i capelli, un metodo che garantiva risultati simili alla schiaritura naturale.
Le Ricette Toscane e Napoletane: “La Bionda alla Fiorentina” e “La Bionda alla Napoletana”
Non solo a Venezia, ma anche in altre corti italiane, si svilupparono ricette ingegnose per ottenere il biondo perfetto.
In Toscana, le pratiche cosmetiche per ottenere il biondo sono ben documentate nei testi del tempo, come nel manoscritto del medico padovano Michele Savonarola (1466) e nel Nuovo Ricettario Fiorentino del 1498.
La “Bionda alla fiorentina” utilizza ingredienti naturali come sapone, tartaro e fiori di ginestra, favorendo una schiaritura graduale tramite lunghe esposizioni solari.
In Campania, invece, troviamo una variante con la “Bionda alla napoletana”, dove il tartaro si combina con edera e paglia d’orzo. Questi ingredienti conferivano una tonalità calda e dorata, il cosiddetto biondo fulvo, simile a quello della Bella Principessa di Leonardo da Vinci, un colore adorato e ritratto in molte opere d’arte. Le ricette napoletane, riportate anche da Leonardo Fioravanti, sottolineavano una bellezza mediterranea, più calda, che si inseriva perfettamente nel contesto aristocratico delle corti aragonesi.
Una Rete di Scambi e Secreti tra le Corti Italiane
Questi preparati cosmetici non restavano circoscritti a una sola corte, ma viaggiavano tra Mantova, Milano, Firenze e Napoli, grazie alle connessioni diplomatiche e familiari. Le ricette si adattavano e si trasformavano, ma il sogno del biondo perfetto era condiviso tra dame che volevano esibire una bellezza splendente e sofisticata.
A Firenze e Napoli si sviluppano formule che arrivano fino a Milano, dove il magister de’ profumi Philippo da Napoli, al servizio della corte sforzesca, si occupa di importare lozioni per il biondo. Caterina Sforza, nelle sue formule cosmetiche, riporta l’uso di ingredienti come miele e cinabro, capaci di schiarire e arricchire il colore dei capelli, segnando il gusto per un’estetica di nobiltà e raffinatezza.
Il Biondo come Simbolo di Bellezza e Distinzione
In un mondo di corti, di fasti e di sguardi rivolti all’arte e alla poesia, il biondo nel Quattrocento non era solo una moda estetica, ma un simbolo di appartenenza a un’élite. Esso incarnava un ideale di bellezza che era, al tempo stesso, estetico e morale. Le dame delle corti italiane, attraverso meticolosi rituali di bellezza, cercavano di avvicinarsi a questo ideale, che trovava espressione nelle opere dei grandi artisti e poeti del tempo. La bellezza, dunque, diventava uno strumento di distinzione sociale e culturale, un modo per affermare il proprio status all’interno di una società che sempre più guardava all’arte e alla cultura come espressioni di potere e raffinatezza.
Bibliografia
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Ristampe
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