Conservazione del Cibo nel Quattrocento – Eugenio Larosa
Una delle principali problematiche affrontate dai ricostruttori storici nell’ambito della cucina medievale concerne la conservazione e la freschezza degli alimenti. L’ampio ricorso alle moderne tecnologie di congelamento tende a mascherare le difficoltà che, in epoca medievale, caratterizzavano la gestione e la conservazione del cibo, sia nella fase precedente sia in quella successiva alla preparazione.
Nella società tardo-medievale, grande importanza veniva attribuita a questo aspetto, al punto che i manuali di mercatura—vere e proprie guide destinate ai mercanti—consideravano essenziale per un mercante non solo la familiarità con le merci da acquistare e rivendere, ma anche la conoscenza delle tecniche più efficaci per garantirne una conservazione ottimale e prolungata nel tempo.
In particolare, per garantire la conservazione della carne, venivano promulgate normative specifiche che obbligavano i beccai (macellai) a introdurre gli animali nelle città “con lo zoccolo“, ossia vivi e destinati alla macellazione immediata.
Sebbene numerosi Tacuinum Sanitatis offrano rappresentazioni iconografiche di animali macellati pubblicamente nelle immediate vicinanze delle beccherie (macellerie), nella realtà storica la macellazione si svolgeva prevalentemente in spazi appositamente destinati a tale attività: i macelli.
Il macello era collocato rigorosamente al di fuori delle mura cittadine, al fine di evitare che il fetore e il sudiciume prodotti dalle operazioni di macellazione arrecassero disturbo alla popolazione o compromettessero l’igiene dell’ambiente urbano. Al contrario, le aree dedicate alla vendita della carne tendevano a essere situate nel cuore dell’abitato. Questi spazi, sebbene separati dagli altri settori del mercato, erano strategicamente posizionati per facilitare il controllo, soprattutto di natura fiscale, delle attività commerciali che vi si svolgevano.
Ulteriori normative imponevano ai macellai il divieto di trattenere tagli di carne durante i giorni di magro stabiliti dalla settimana. Al termine dell’orario lavorativo del giovedì sera, i macellai erano obbligati a smaltire qualsiasi pezzo di carne fresca ancora presente nelle loro botteghe, assicurando così il rispetto delle prescrizioni religiose e sanitarie del periodo.
In alcune città, l’esercizio della macellazione e della vendita della carne era severamente vietato durante il periodo quaresimale. L’unica eccezione consentita riguardava la carne destinata ai malati, considerata necessaria per il loro sostentamento e prescritta come rimedio da parte dei medici.
Questi divieti contribuirono a incentivare il commercio e il consumo di prodotti ittici, sia freschi sia conservati tramite salatura. Grazie a questa tecnica di conservazione, i mercati italiani si arricchirono di merci provenienti da regioni remote. Tra i prodotti più apprezzati figuravano le pregiate aringhe di Bruges, pescate nel «Mare Miano [del Nord] intra Inghilterra e Fiandra» oppure i più ricercati storioni del Mar Caspio («Istorioni insalati, cioè schienali d’istorioni che vengono dal Mare del Sara [Mar Caspio]»
Sebbene alimenti come carni, pollame e pesce fossero soggetti a una loro naturale stagionalità, nei mercati delle grandi città era generalmente possibile reperirli con una certa continuità durante tutto l’anno. Tuttavia, al di fuori della loro stagione naturale, tali prodotti erano disponibili solo in forma conservata, attraverso tecniche come l’affumicatura, la salamoia o, più frequentemente, la salatura e l’essiccazione.
È stato stimato che oltre la metà della carne consumata a Firenze intorno alla metà del XV secolo (1450-1451) fosse costituita da carne di maiale, gran parte della quale veniva commercializzata in forma salata. L’ampio utilizzo di carni e pesci conservati è attestato anche dai ricettari coevi, che riportano numerose preparazioni culinarie basate su questi alimenti.
Le tecniche per dissalare carne o pesce compaiono frequentemente, e spesso occupano le prime sezioni dei ricettari di cucina dell’epoca.
Lo stesso Bartolomeo Sacchi (1421-1481), soprannominato “Platina”, nel suo trattato De honesta voluptate et valetudine (1474), decantando i pregi e difetti del sale, ne mette in evidenza l’efficacia per la conservazione della carne: “se si mettono sotto sale le carcasse, queste si conserverebbero dai danni della decomposizione e si può separarne le parti grasse in salamoia.”
Frequentemente, le ricette che prevedono l’utilizzo di carne o pesce salati si aprono con istruzioni rivolte al cuoco per trattare il prodotto conservato. Tali indicazioni includono l’ammollo o la bollitura del pezzo di carne o pesce, al fine di eliminare il sale accumulato durante il processo di conservazione, rendendo l’alimento adatto alla preparazione culinaria.
Il latte animale era soggetto a una vita breve, per questo è spesso sostituito nei ricettari dal latte di mandorla per le sue qualità durevoli.
Lo stesso burro animale veniva spesso salato e quindi dissalato sciogliendolo in una ciotola potendo così separare il burro dal sale che si trovava nel suo fondo.
Sempre il “Platina”, nel suo trattato, ci dà indicazioni di come doveva essere effettuata la salatura della carne:
“La carne di maiale è così umida che non può essere conservata se non con molto sale. Quando un maiale compie un anno, è adatto per la salatura. Il giorno prima che venga macellato, è meglio evitare che beva perché la carne sarà più secca; quindi deve essere salato con cura in modo che non marcisca o abbia un sapore appassito né danneggiato da vermi o larve. Quando fai una salamoia, metti il sale sul fondo di una pentola, quindi adagia i pezzi con la pelle rivolta verso il basso. La carne deve rimanere nella pentola fino a quando non assorbirà il sale, poi andrà appesa ad una griglia per carne dove il fumo possa penetrare. Da esso puoi prendere lardo a volontà, prosciutto, spalla, pancetta, filetto.”
Basandosi sul principio della salagione era spesso utilizzata anche la conservazione attraverso la salamoia, una soluzione di acqua e sale.
Tra i prodotti a base di pesce più comuni che si potevano trovare sui banchi del XV secolo vi era la tonnina, che potremmo considerare il progenitore della moderna scatoletta di tonno. Si trattava di filetti di tonno conservati in salamoia, una tecnica che ne garantiva la lunga durata. Altri alimenti ampiamente diffusi e preservati con lo stesso metodo includevano, ad esempio, l’anguilla, anch’essa particolarmente apprezzata per la sua versatilità e conservabilità.
Per la conservazione a breve termine si faceva spesso ricorso alla gelatina (chiamata anche gellatina o galantina), apprezzata per le sue proprietà refrigeranti. Data la sua natura “fredda”, era raccomandata soprattutto “per i giovani e gli adolescenti, e nella stagione calda”.
La gelatina veniva preparata a partire da parti animali ricche di collagene, come le zampe, e aggiunta a carni in umido, in particolare di maiale e pollo, con l’obiettivo di prolungarne la conservazione.
I pesci stessi, come lucci, persici, tinche, carpe, anguille e lamprede, grazie al loro rivestimento cutaneo caratterizzato da uno strato mucoso ricco di proteine, erano utilizzati nella preparazione di una gelatina specifica per la loro conservazione, nota come pisces ad gelatinam.
Nel tardo Medioevo, ogni cuoco sviluppava senza dubbio la propria interpretazione su come rendere la galantina più efficace e saporita. In questo contesto, le spezie giocavano un ruolo fondamentale, essenzialmente paragonabile a quello del sale. Non solo contribuivano a migliorare la conservazione degli alimenti, ma conferivano anche aromi distintivi, arricchendo il sapore delle preparazioni e adattandole ai gusti dell’epoca.
Per preservare carni fresche e pesci, particolarmente suscettibili alla “corruzione” a causa dell’elevato contenuto di grassi, si suggeriva anche l’essiccazione mediante fumo di legna.
L’affumicatura era una tecnica ampiamente utilizzata, soprattutto per i prodotti ittici, poiché consentiva il commercio di pesci provenienti da regioni lontane. Un esempio significativo era costituito dagli schienali, ovvero pregiati tagli di schiena di storione, salati ed essiccati, importati dal Levante. Di pari pregio erano gli storioni affumicati delle valli ferraresi, rinomati per la loro eccellente qualità.
Per la conservazione della frutta, sia fresca sia secca, si privilegiava l’uso di zucchero o miele, con quest’ultimo considerato un eccellente sostituto dello zucchero. Il Sacchi, elogiava le qualità del miele, affermando: “Il miele d’estate è preferibile a quello d’autunno, poiché è più adatto ai corpi freddi e umidi, cura molte malattie, impedisce la decomposizione dei corpi ed è ritenuto il migliore per preservare mele, zucche, cedri e noci.”
In alternativa, alcuni cuochi proponevano l’impiego di vino dolce, fatto bollire fino a ridurlo in uno sciroppo denso attraverso l’evaporazione della maggior parte del liquido. Questo sciroppo, ricco di zuccheri naturali, veniva utilizzato per ricoprire e impregnare gli alimenti, che successivamente venivano riscaldati e asciugati.
Sebbene alcune fonti accennino all’uso dell’aceto come conservante, non ho riscontrato documentazione specifica che ne confermi l’applicazione in tal senso. Al contrario, l’aceto di vino e l’agresto compaiono più frequentemente nelle ricette dell’epoca come ingredienti utilizzati durante o dopo la cottura. Il loro impiego era volto a conferire alle pietanze un sapore agrodolce, una nota gustativa particolarmente apprezzata nella cucina del tardo Medioevo.
La pratica della conservazione sott’olio risulta pressoché inesistente nel tardo Medioevo. L’olio, infatti, a causa del suo costo elevato, era utilizzato principalmente a crudo e destinato prevalentemente alle mense dei ceti medio-alti, soprattutto in ambito urbano. La sua funzione era più legata al condimento e all’arricchimento dei sapori che non alla conservazione degli alimenti.
Oltre ai metodi di conservazione sarebbe interessante analizzare anche i metodi di trasporto e di stoccaggio dei beni alimentari anche questi spesso indicati nei libri di mercatura e negli statuti cittadini.
In conclusione, lo studio delle tecniche di conservazione alimentare nel tardo Medioevo rivela una società profondamente consapevole delle sfide poste dalla deperibilità degli alimenti, e ingegnosa nell’ideare soluzioni per prolungarne la durata.
In conclusione, lo studio delle tecniche di conservazione alimentare nel tardo Medioevo mette in luce una società pienamente consapevole delle sfide poste dalla deperibilità degli alimenti e straordinariamente ingegnosa nell’elaborare soluzioni per prolungarne la durata.
Mi auguro che questo mio breve contributo stimoli una riflessione sul ruolo determinante che il contesto storico ha avuto nel modellare le pratiche commerciali e culinarie. Nonostante il trascorrere dei secoli, molte di queste tecniche hanno lasciato un’eredità tangibile, influenzando ancora oggi alcune delle nostre abitudini alimentari.
Bibliografia e Fonti di riferimento
Andrea Barlucchi, Lo Statuto quattrocentesco dell’Arte dei Carnaioli di Borgo Sansepolcro. Note sul Commercio della carne alla fine del Medioevo. Archivio Storico Italiano, 155(4 (574)), 1997.
Platina, De honesta voluptate et valetudine. Un trattato sui piaceri della tavola e la buonasalute, a cura di E. Carnevale Schianca, Firenze 2015.
Maria Lucia De Nicolò, Mangiar pesce nell’età moderna. Diritti di pesca, produzione, conservazione, consumo, Fano 2004.
Maria Lucia De Nicolò, Dal banco di vendita a tutte le mense. Pesci molluschi crostacei dal tardo medioevo alla tradizione.
Evelina Rinaldi (a cura di), Statuto di Forlì dell’anno 1359, con le modificazioni del 1373, Roma, Loescher, 1923, lib. I rubr XL: De bobus et aliis bestiis mortuis in servitio comunis emendandis.
Cerlini (a cura di), Consuetudini e statuti reggiani cit., lib. III, rubr. XIII: De ambaxatoribus et salario eis concesso pro comuni Regii.
Vincenzo Caputo e Riccardo Caputo (a cura di), Statuti di Comacchio sec. XV, Ferrara, Accademia delle scienze, 1991, rubr. 134: De la pena de che ferirà bestia alcuna la quale per tale ferita morirà.
Mario Fanti, I macellai bolognesi: mestiere, politica e vita civile nella storia di una categoria attraverso i secoli, Bologna, Sindacato esercenti macellerie, 1980.
Conservazione del Cibo nel Quattrocento – Eugenio Larosa