Ritratto di giovane donna del Pollaiolo al museo Poldi Pezzoli – Articolo di Eugenio Larosa
Il ritratto di questa giovane donna fiorentina che sembra assorta nei propri pensieri, eseguito nella seconda metà del XV secolo ed oggi custodito presso il museo Poldi Pezzoli di Milano, è forse uno tra i più riconoscibili e prestigiosi capolavori della pittura italiana.
Nel corso di una recente ricerca sulla moda femminile nel Quattrocento, mi sono nuovamente trovato di fronte a questo affascinante dipinto. Non è la prima volta che lo incontro, insieme alle altre quattro opere simili, e mi rammarico di non aver potuto visitare al tempo la mostra “Le dame dei Pollaiolo. Una bottega fiorentina del Rinascimento,” al Museo Poldi Pezzoli di Milano che per la prima volta li ha riuniti nello stesso contesto museale.
Ho deciso di approfondire quello che finora è stato uno studio piuttosto superficiale di quest’opera.
In questo articolo, condividerò con voi i frutti delle mie ricerche e le riflessioni che ne sono scaturite.
Come detto questa opera fa parte di una serie di ritratti femminili, attribuiti alla bottega dei fratelli Pollaiolo, esposti in rinomate collezioni internazionali, tra cui il Gemäldegalerie di Berlino, la Galleria degli Uffizi di Firenze e il Metropolitan Museum of Art di New York.
Nel 1875, il cavaliere Gian Giacomo Poldi Pezzoli, acquistò l’opera, convinto che fosse un lavoro di Piero della Francesca. Tuttavia, nel corso del tempo, l’attribuzione a Piero è stata abbandonata e si è aperto un dibattito tra i sostenitori della paternità dell’opera tra i fratelli Antonio (1431/32 – 1498) e Piero del Pollaiolo (1441/42-1485/90).
Nonostante l’opinione prevalente, che attribuisce il dipinto a Piero del Pollaiolo, personalmente, sebbene in gran parte d’accordo con questa ipotesi, tendo a preferire un’attribuzione forse meno meritocratica e più democratica alla Bottega dei Fratelli Pollaiolo.
I fratelli Antonio e Piero Benci, noti come Pollaiolo, nacquero nella prima metà del XV secolo a Firenze, dove il padre era un venditore di polli presso il Mercato Vecchio della città, da cui deriva il loro soprannome. Come molti giovani talentuosi dell’epoca, iniziarono il loro apprendistato in botteghe d’arte differenti, studiando pittura, scultura e arte orafa.
I fratelli Pollaiolo erano figure poliedriche nell’ambito artistico, eccellendo in una vasta gamma di discipline: scultura, oreficeria, incisione e pittura. Ognuno di loro seguiva le proprie inclinazioni artistiche, conferendo un’identità unica ai materiali con cui lavoravano. Gestivano entrambi rinomate botteghe nell’ambito della Firenze rinascimentale e spesso collaboravano tra loro. Antonio, il fratello più anziano, dimostrava una straordinaria versatilità, padroneggiando la lavorazione dei metalli, le incisioni, le sculture e il disegno, mentre Piero, più giovane di circa dieci anni, si dedicava principalmente alla pittura.
La loro collaborazione frequente portò alla creazione di opere di grande pregio, ma anche alla confusione riguardo alla paternità di alcune di esse, tra cui, appunto, il ritratto della dama presentato in questo articolo.
Ben presto i fratelli Pollaiolo divennero molto richiesti, ricevendo commissioni da committenti di grande rilievo sia nel clero che nella politica, tra cui spicca il nome di Lorenzo il Magnifico.
All’inizio degli anni ’70 del Quattrocento, con l’utilizzo di una tecnica mista di tempera e olio su tavola, fu realizzata questa opera che ritrae una giovane donna, raffigurata di profilo.
Sebbene un’iscrizione postuma sul retro del pannello, rimossa durante un antico restauro, la identificasse come la moglie del banchiere fiorentino Giovanni de’ Bardi, è probabile che si tratti piuttosto di una promessa sposa di un membro della nobile famiglia romagnola dei Barbiano di Belgioioso.
L’identità della donna ritratta potrebbe essere confermata attraverso lo studio della provenienza del dipinto, che è documentato come parte della collezione del principe Alberico XII Barbiano di Belgioioso d’Este all’inizio dell’Ottocento. Questo dettaglio storico rivela che la giovane donna raffigurata era considerata un’antenata della famiglia Belgioioso d’Este, specificamente identificata come la promessa sposa di Giovanni II da Barbiano, conte di Cunio. La provenienza del dipinto potrebbe fornire quindi una connessione diretta tra l’opera d’arte e la storia della famiglia, potendo suggerire l’identità della donna ritratta e aggiungendo un significato storico e genealogico alla sua rappresentazione.
La giovane viene descritta come una potenziale sposa non solo per la sua giovane età, che probabilmente si aggira intorno ai quindici anni, un’età comune per il matrimonio in quel periodo, ma anche per i dettagli significativi presenti nel suo abbigliamento. Tra questi, spiccano i lunghi fili di perle che adornano il suo collo e i suoi capelli. Le perle, da sempre simbolo di purezza, erano spesso indossate dalle giovani donne durante il fidanzamento, evidenziando il loro impegno a mantenere la castità e la virtù fino al momento del matrimonio. Sembrerebbe dunque che questo ritratto sia stato commissionato in occasione del fidanzamento della ragazza, rappresentando non solo le ricchezze e lo status sociale della famiglia, ma anche a ricordare l’imminente unione matrimoniale.
Nel ritratto, la giovane è presentata di profilo, riprendendo la moda diffusa della medaglistica classica.
Il profilo si distende oltre lo scollo leggermente inclinato, conferendo solidità alla figura. Questa si staglia contro lo sfondo azzurro del cielo, leggermente striato da nubi. Una sottile ed elegante linea scura enfatizza i contorni, consentendo alla figura di stagliarsi con molta chiarezza contro il paesaggio.
In questo periodo mentre il ritratto maschile era già orientato direttamente verso lo spettatore o almeno in posa di tre quarti, quello femminile continuava ad essere di profilo. Questa differenza era forse motivata dalla pudicizia, evitando così di rivelarsi troppo agli occhi degli osservatori, e serviva anche a mantenere un’atmosfera più astratta e idealizzata.
La figura è delicata, con un collo lungo e sottile, e una fronte alta, evidenziata dall’elaborata acconciatura dei capelli enfatizzata dal colorito pallido, quasi diafano.
Questa scelta mette in evidenza l’acconciatura della giovane, poiché non è possibile mostrare l’intero abito.
Velette, fili di nastri ornati di perle, noti come frenelli, e soprattutto capelli così chiari da sembrare decolorati, come si usava all’epoca, ricreano quell’acconciatura conosciuta come “a vespaio”, seguendo i dettami della moda del periodo tanto cari a Leon Battista Alberti. Quest’ultimo descriveva l’ideale di bellezza anche attraverso l’acconciatura, indicando che i capelli dovrebbero “volgersi in un giro quasi volendo annodarsi, e ondeggianti in aria simile alle fiamme“.
L’abito, i cui dettagli sono solo parzialmente visibili, si presenta come un esempio di eleganza rinascimentale. Si tratta probabilmente di una gamurra o una cotta di pregiato tessuto verde, verosimilmente velluto, caratterizzata da un’elegante e aderente scollatura arricchita da un raffinato ricamo geometrico nei toni del verde ocra.
Le maniche, dalla silhouette ampia e rigonfia, sembrano essere realizzate in un tessuto operato, verosimilmente un broccato di seta, impreziosito da un motivo floreale bianco su base rossa, che conferisce all’indumento un’aura di sontuosità e raffinatezza.
L’allacciatura frontale, connotata da un’attenta ricerca dei dettagli, vede un laccetto di tessuto bianco intrecciarsi attraverso una serie di anellini metallici che sono collegati al busto mediante una mezza asola.
Al di sotto dell’abito, s’intravede una delicata camicia di tessuto leggero, presumibilmente in lino francese, tessuto in voga tra le ricche donne fiorentine del periodo.
Questa opera continua a esercitare un fascino senza tempo, catturando l’immaginazione degli spettatori con la sua bellezza intramontabile e la sua profonda ricchezza di dettagli. Oltre a essere un capolavoro artistico, il dipinto ci offre uno sguardo privilegiato sul costume femminile della Firenze della seconda metà del Quattrocento.
Attraverso la sua eleganza e la sua raffinatezza, il dipinto ci offre una finestra sul mondo dei costumi, dei gioielli e delle acconciature che caratterizzavano l’élite fiorentina di quel tempo.
La sua bellezza senza tempo e la sua capacità di trasmettere un senso di intimità e contemplazione lo rendono un’opera straordinaria che continua ad affascinare e ispirare gli spettatori di oggi, così come ha fatto con quelli del passato.
Un’opera che ci ricorda la straordinaria maestria artistica e l’inestimabile contributo dell’Italia al panorama culturale mondiale.
Bibliografia
A.Wright, “The Pollaiolo Brothers. The arts of Florence and Rome”, New Haven, Londra 2005
J.Lipman, “The Florentine Profile Portrait in the Quattrocento” in The Art Bulletin, Vol.18, No. 1 (Mar., 1936)
A. Tartuferi, “La stanza dei Pollaiolo”, Firenze 2007.
A. Di Lorenzo e A. Galli, “Antonio e Piero del Pollaiolo. Nell’argento e nell’oro, in pittura e nel bronzo…”, Catalogo della Mostra, Skira, Milano 2014.
A. Angelini, “Considerazioni sull’attività giovanile di Antonio Pollaiolo ‘horafo’ e ‘maestro di disegno’”, in ‘Prospettiva’, Firenze Centro Di, n.44, gennaio 1986
Ritratto di giovane donna del Pollaiolo al museo Poldi Pezzoli – Articolo di Eugenio Larosa